Pensieri, senza filtro.

Quando le dita improvvisano sulla tastiera

11

Feb 2013

La scrittura è la mia terapia

scritto da / in SENZA FILTRO / 2 commenti

Che brutta sensazione. Ho un brivido freddo che mi scorre lungo la schiena, pensieri negativi offuscano di paura la mia anima. Non ci siamo. Non va bene.

Continuo a vedere facce strane passare davanti all’ufficio, non che la cosa sia nuova, ma sono ancora troppo sensibile e suggestionabile per non associare la cosa a quello che è successo una settimana fa.

Mi sento controllata, spiata, osservo con meticolosa attenzione i tratti di individui qualunque che potrebbero celare intenzioni negative. La cosa assurda è che, se ci penso, anche tre settimane fa circolavano queste persone e io non provavo questa fottutissima paura che raffredda le membra e irrigidisce i muscoli.

Che brutta cosa l’ansia. Ti porta a pensieri paranoici, a trip mentali, a scrivere sceneggiature da Oscar con protagonisti i tuoi neuroni che recitano dialoghi tremanti e biascicati.

E sì che nel mio percorso da ex pessimista una delle prime cose che avevo scelto di allontanare, una volta per tutte, era proprio il velo di Maya che obnubila e confonde la mente. La cosa che mi fa rabbia è che ci stavo riuscendo…poi è bastato un attimo e giù, di nuovo negli abissi, con il respiro affannoso e il diaframma contratto.

C’è una massima che mi ripeto spesso:” la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno“…La chiave, eccola, è lì, sta proprio nel coraggio.

Ma non sono nata con un cuor di leone come il Don Abbondio di Manzoni. E nemmeno mi rappresenta la litote. Sono un ossimoro. Sono il coraggio pavido, la paura coraggiosa nell’affrontare le situazioni. Sempre. Imprevedibile. Incostante. Non lineare.

Dicono che se ti impegni a fare altro, la tua mente si distrae. Cazzate. La tua mente va dove la fai fluire. E se il pensiero ansiogeno e negativo prevale, non c’è lavoro che tiene. Più tenti di non pensare a qualcosa, e più ci pensi.

Un po’ come quando ti prende la fissa di dimagrire e ti imponi di non mangiare dolci. La tua glicemia violentata dalla negazione proietta tutta la serie de “Il boss delle torte” nel tuo cervello e tu non fai altro che pensare alla morbidezza del pan di spagna imbevuto nel caffè, golosamente ammorbidito da uno strato di soffice crema pasticcera con retrogusto vellutato alla vaniglia.

Il segreto è affrontare la paura. Viverla, esorcizzarla, smizzuzarla come si fa con i problemi.

Il mio modo di affrontare la paura è questo. La mia terapia è la scrittura.

Non c’è nulla, davvero niente che riesce a liberare la mia anima come la scrittura. Scrivo quando sono triste, quando sono felice, quando ho un groppo in gola, quando voglio parlare con me, quando voglio ascoltare le energie che attraversano il mio essere. Scrivo.

E quando scrivo me ne fotto dello stile, delle convenzioni, delle tematiche studiate a tavolino. Connetto la mente al cuore che si prolunga attraverso le braccia, giù fino alle mani che toccano i tasti o impugnano una penna.

Scrivo con l’anima, scrivo per la mia anima.

Lascio parlare i pensieri, mi ascolto e mi cullo….Scrivere è la mia terapia.

E scrivendo anche la paura vola via…perché scrivere è amore e per amare ci vuole coraggio.

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10

Feb 2013

Bicchieri

scritto da / in SENZA FILTRO / Commenta

Si possono riempire, svuotare, smaccare, infrangere, colorare. Sono di vetro, carta, plastica, ceramica, cristallo…

La loro funzione base è quella di colmare un vuoto di liquidi, di rispondere a un bisogno primario, di idratare. Quella secondaria di accompagnanti nei momenti celebrativi, risuonando uno contro l’altro con una vibrazione energeticamente positiva.
Puoi riempirli di acqua, vino, bibite gassate, tisane, infusi, liquori e bollicine da molti zero.

Puoi traslarli nel significato esistenziale della vita, attribuendo loro la tua visione delle cose. Mezzi pieni, mezzi vuoti, da colmare, da consumare tutto di un fiato.

Puoi riuscire a intravedere il contenuto oppure no. Puoi leggere le tracce lasciate sul fondo o scientificamente rintracciare i segni biologici (impronte, saliva, rossetti) rimasti a testimonianza del loro utilizzo.

Il bicchiere. Ne parlavo proprio ieri di bicchieri.

Il bicchiere è il simbolo del nutrimento vitale. Quando sei neonato bevi da un bicchiere con una tettarella che ricorda il seno materno, quando cresci bevi per dimenticare, per dissetarti, e per festeggiare stappi una bottiglia che riempie di liquido brioso un calice predisposto per l’occasione.
Anche la bottiglia può essere, a suo modo, un bicchiere.

La cultura, si dice, abbevera gli animi inariditi dalla ignoranza. Quante volte poi si parla di sorgenti della vita, luoghi metaforici nei quali ritrovare la magia di un gesto naturale che implica l’avvicinare le labbra a un liquido rigenerante.

Il bicchiere ha la funzione di raccogliere quell’acqua, di dosare quel liquido imprescindibile per la nostra sopravvivenza, già perché l’acqua è la migliore metafora per la vita.

Acqua, due molecole di idrogeno e una di ossigeno. Ossigeno, il respiro. L’acqua e il respiro.
Idratare gli animi che ispirano ed espirano con calma o affanno nella vita.

Racchiudere in un contenitore di varie forme un liquido che ci accompagna nella nostra giostra vitale. Per tutta la vita.

Pensandoci, anche una flebo, a suo modo è un bicchiere. Un bicchiere che entra direttamente in contatto con le nostre vene, che penetra direttamente nel corpo per dare linfa alle nostre cellule.

Quando siamo agitati, ci viene consegnato un bicchiere con dell’acqua. Beviamo per mandare giù bocconi, sopratutto quelli amari.
Quando la pressione si abbassa, all’acqua si aggiunge lo zucchero. Beviamo per rinvigorire.
Quando dobbiamo mostrare ospitalità, offriamo qualcosa da bere. Un bicchiere colmo di liquidi, trasparenti come l’acqua o variopinti da coloranti artificiali come i soft drink tanto amati negli Stati Uniti.

Beviamo anche senza sete. Beviamo per riempire il vuoto. Usiamo il bicchiere come compagno di sbronze, come veicolo per offuscare – ma solo in apparenza- la mente dalle preoccupazioni.

Beviamo per espellere i liquidi ristagnati, per drenare. Usiamo il liquido per contrastare se stesso quando non riesce a fluire armonicamente nel nostro corpo.

Poggiamo le labbra, lasciamo fluire il liquido nelle viscere. Deglutiamo.

Il bicchiere, che sia calice, coppa, tazza o bottiglia ci accompagna per la vita.

Il mio bicchiere è quasi sempre mezzo pieno, ma spesso non riesco a percepirne il contenuto.
A volte sa di fiele, altre è di una dolcezza melliflua. Consumo il suo contenuto senza respirare, e non vedo l’ora di riempirlo con nuovi liquidi, sempre diversi, perché mi piace sperimentare, assaggiare aspetti sempre nuovi della vita.
Spesso, il bicchiere si è infranto tra le mie mani, incidendo con profondità e lacerando le membra che hanno bisogno di cicatrici per non dimenticare.
Il mio bicchiere ha le forme più strane: il design lascia spazio alle stampe infantili, i suoi contorni sono morbidamente tondi ma stranamente irregolari. Il mio bicchiere emette suoni, vibra con tonalità acute e, a volte, tace ovattato e felpato nello scontro.
Il mio bicchiere sono io, quando ingoio la saliva e nutro dei miei stessi liquidi il mio corpo.

Un tramite, un veicolo, un mezzo per rappresentare un processo naturale, la sopravvivenza, la convivialità, la gioia, il dolore, il pieno, il vuoto, il niente, il tutto. La vita.

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09

Feb 2013

Decisamente meglio

scritto da / in SENZA FILTRO / Commenta

Sto decisamente meglio. I nervi sono ancora tesi e al minimo rumore scatto come un soldatino, ma ricomincio a vedere il bicchiere mezzo pieno.

In questi momenti dai valore alle cose che possiedi, alla fortuna che hai avuto a non trovarti faccia a faccia con certa gente, al fatto che il cane sta bene, osservi con stupore fanciullesco il cielo azzurro e il sole giallo. Insomma, ritrovi un po’ di naturalezza nel tuo vivere quotidiano.

Sono andata a fare la spesa – come sempre, ho riempito il carrello come un maiale all’ingrasso,
– ho sfidato qualche amico a Ruzzle, sistemato due cosette a casa, letto le ultime nuove e le solite boiate sul web, invidiato [lo so che non si deve, ma lo faccio lo stesso :-)] il coraggio di certa gente che riesce a darsi valore, al contrario della sottoscritta che continua a predicare bene e a razzolare ( e ruzzleare) malissimo!

Stasera cenetta casalinga tra amici, io e il socio ai fornelli.
Antipasti e secondo a cura dello chef di casa, primo e mise en place di mia competenza, come sempre.
Il menù della serata è decisamente invernale e tradizionale. Antipastini misti, con sperimentazioni varie e insaccati umbri, un risotto con porcini e salsiccia, spezzatino con patate, piselli e carote e per dolce un volo in Sardegna per assaporare sebadas irrorate di dolcissimo miele biologico.
Pane fatto in casa ai cereali, vino rosso e bianco in abbondanza, mirto – per restare in tema con il dolce- e diger selz prima di nanna.

Abbiamo anche i bicchieri nuovi (come quelli dell’immagine, solo che i nostri sono azzurri). Cioè, questo sì che è un lusso. Il socio ne rompe mediamente uno alla settimana, speriamo che questi abbiamo vita lunga…

Il bicchiere. Un simbolo non casuale sul quale potrei costruire mille discorsi…Ma il tempo stringe e mi tocca andare…rimando la discussione a un altro post.

Adesso vado a dare un’occhiata in cucina, voglio vedere che cosa sta combinando il cuoco pasticcione.

Ne approfitto per ringraziare tutti per il supporto in queste giornate. È stato prezioso, incentivante, un sole sorridente in una settimana offuscata dalle nuvole. Grazie, davvero, di cuore.

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