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16

Gen 2013

Sinapsi

scritto da / in SENZA FILTRO / Commenta

Sinapsi. Che cosa sono le sinapsi?

Cito da Wikipedia: “La sinapsi (o giunzione sinaptica) [dal greco συνάπτειν (synàptein), composto da σύν (con) e ἅπτειν (toccare), vale a dire “connettere”] è una struttura altamente specializzata che consente la comunicazione delle cellule del tessuto nervoso tra loro (neuroni) o con altre cellule (cellule muscolari, sensoriali o ghiandole endocrine)”.

Ecco, adesso tutto è più chiaro. Le mie, stasera, non funzionano.

Non funzionano perché si sono infuocate di rabbia rabbiosa, di giramento di palle centripeto, quello che mandi a fare in culo anche la tua immagine riflessa nello specchio, incedendo con affermazioni del tipo:“uhm, e tu che cazzo hai da guardare?!”

Parliamone. Anzi, scriviamone.

Le pale eoliche girano perché c’è un vento di pochezza che mi fa tremare. Sono stanca dell’approssimazione, delle cose fatte tanto per, dei social network che presentano uno spaccato italico stracolmo di bimbiminkia con la ‘k’. Se ci aggiungi le tasse da pagare, la pioggia incessante che mi sporca la macchina – lavata meno di una settimana fa – con gocce cariche di sabbia sahariana, i desideri occultati nei cassetti e gli sbalzi ormonali, è fatta.

Perché bisogna lesinare in continuazione? Per dar seguito agli opportunismi dei leccaculo paraculi (quelli che oltre a leccarlo e pararselo, c’hannno pure la faccia come il culo)?! A che pro?

Mi sono rotta di dover assecondare chi mi chiede supporto solo dopo essersi accorto di essere affetto da una pancreatite operativa incurabile, per poi dimenticarsi completamente – una volta ottenuto l’aiuto – della mia esistenza, senza nemmeno un grazie.

Non reggo i sorrisi finti, gli abbracci di circostanza, l’ipocrisia palese di chi vuole fotterti e crede di farlo, solo perché tu eviti di spalmare merda fango sulla sua faccia ( alla fine avresti solo donato un colorito migliore al pallidume vampiresco del succhia sangue, sornione e ruffiano, in questione). Vuoi una cosa? Chiedi. Se posso ti aiuto. Se non posso, mi dispiace. Abbi il coraggio di palesarti per quello che sei.

Una stipsi culturale megasuperissimagalattica.
Tantissima demagogia, viscido populismo, gente che studia la notte per concepire una frase satirica o d’effetto da postare su Twitter…quasi peggio di quando senti recitare gli attori di certe fiction. Imbarazzante.

Ma un po’ di flessibilità mentale, di voglia di colmare il baratro di competenze che ognuno di noi ha, un po’ di sana e costruttiva autocritica?

Naaaa, troppo lavoro per le care amiche sinapsi.

Ok, forse è il caso che mi faccia una dose di valeriana e melissa, sperando in un sano effetto calmante e antiacido.

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18

Ago 2012

Un pomeriggio al mare con i miei neuroni

scritto da / in SENZA FILTRO / Commenta

Aria di mare, profumo di ginepro e di macchia mediterranea, voglia di respirare la melodia del mare che si increspa di un bianco denso.
Seduta sulla panchina osservo e ascolto, in un silenzio religiosamente imposto dal panorama naturalmente speciale. Qualcosa interrompe la mia meditazione. Sono i miei pensieri, rumorosi, invadenti, caotici e contrastanti.
Possibile che non vogliano lasciarmi libera nemmeno in vacanza? No, non ce la fanno. Sono sempre con me…i miei neuroni non vanno in ferie, sono in perenne attività. Scovano problemi da far riaffiorare, tasse da pagare, conflitti familiari da rivivere.
Una carrellata veloce, un chiacchiericcio frenetico di neuroni che devono ancora abituarsi al silenzio, al breve momento di pausa che annualmente posso concedere loro.
Mi siedo su uno scoglio, affogo i miei piedi nella calda acqua salata e apro le pagine di un libro divertente, leggero…ho bisogno di ripulire la mente, di purificare i pensieri.
Il mare accompagna come una dolce nenia lo scroscìo delle sue acque sulla roccia abbronzata da un sole caldo e avvolgente e mi abbandono alla lettura.
È il mio momento. Sono sola e libera da tutto e tutti. Il sole riscalda il mio viso e l’acqua accarezza la pelle che inizia ad assumere un colorito floridamente rubicondo. Devo mettere la protezione, rischio di diventare un peperone lesso. Interrompo la lettura. Prendo la crema solare e morbidamente rinfresco la pelle che si secca sotto il sol leone. Bevo un sorso di acqua e decido di rimettermi a leggere. Leggere mi aiuta a occupare i neuroni stacanovisti in un’attività positiva, immergendomi in una realtà diversa dai problemi che proprio non vogliono abbandonare la mia mente.
Il caldo diventa sempre più forte, è tempo di immergere anima e corpo nelle acque di questo mare cristallino popolato di pesci grassocci e riscaldato dal caldo delle perturbazioni estive che arrivano dall’Africa.
Deposito il mio libro nella borsa e preparo il mio set da esploratore dei mari: maschera, boccaglio, pinne e via….pronta per investigare la biologia marina.
Un tuffetto e inizio ad osservare quello che avviene nelle profondità di questa prateria acquatica.
I miei neuroni si attivano…i pensieri non mi abbandonano mai. Fortunatamente la curiosità prende il sopravvento e mi lascio cullare dalla placidità della flora marina che ondeggia lentamente, di qua e di là, dolcemente protagonista di una danza morbida interrotta dal passare frenetico e rapido di squadroni compatti di pesciolini che mi ricordano i pendolari della metropolitana nelle ore di punta.
Non sono abituata a usare le pinne e le mie gambe mi avvisano che non posso fare l’eroe. Dopo tutto, durante l’anno, non è che mi dedichi a una attività sportiva costante e il mio corpo, come un pezzo di metallo nel mare, inizia a fare ruggine. Decido di uscire.
Mi sdraio al sole, cullata da una lieve brezza che sconvolge ancora di più la mia chioma leonina e mi adagio su un asciugamano dai colori accesi. Accendo una sigaretta e proseguo, silenziosamente, ad osservare.
Gli amici che popolano la mia mente iniziano a fantasticare e a commentare il panorama intorno a me (il tutto avviene sempre all’interno del mio cranio e senza autorizzazione!). La scogliera, il mare, la spiaggia, le coppiette innamorate che si ungono di una densa crema solare a riva, i bambini operosi che lavorano duramente tra secchielli, palette e bambolotti da lavare nelle acque del mare, famiglie intente a giocare a burraco, sub che riemergono soddisfatti dalle acque con una retina da pesca che ospita un pesciolino piccino, trofeo di una caccia durata ore.
All’orizzonte una barca a vela sventola il suo orgoglio piratesco e un gommone invadente arrotola le acque del mare creando onde costanti che invitano a gare di tuffi tra ragazzini sorridenti che finalmente, dopo 10 ore di digestione, possono fare il bagno.
Goccioline di sudore attraversano il mio viso, saranno sicuramente le fatiche dei miei neuroni che non smettono di scandagliare  questo pomeriggio al sapore di sale.
Ispiro, espiro, faccio il pieno di iodio che fa tanto bene alla mia sinusite cronica e alle mie narici costipate da un inverno rigido….mi lascio abbracciare dalla natura. L’azzurro del cielo entra con amore in quello del mare, un atto d’amore che unisce aria e acqua e colora i miei pensieri.
Quanto mi mancherà questo momento. Già lo so.
La mia riflessione viene interrotta dal suono del cellulare…è il socio che mi chiede che fine abbia fatto e se sono propensa a raggiungerlo per andare a fare un tuffetto insieme.
Decido che dopo tre ore di solitudine meditativa posso ritrovare il contatto diretto con gli altri esseri umani e mi accingo a raccogliere pensieri, pinne, occhiali (no, a ‘sto giro il fucile non l’ho preso, sarebbe stato pericolosamente istigante per sopprimere le strilla di bambini capricciosi e il loro incedere violento e maleducato con gittate di sabbia sul mio asciugamano)…dicevo, prendo tutte le mie cose e mi dirigo verso il socio che predilige vivere il mare come un neonato, solo la sera tardi, quando il sole non ruggisce più ma miagola come un gattino indifeso.
I miei neuroni decidono che è arrivato il momento di prepararsi ai dialoghi e alle pubbliche relazioni: abbandonano il loro pettegolare interno, i loro monologhi, e si vestono per guidare le conversazioni all’esterno della mia testa.
Infilo un vestitino verde, inforco le ciabatte, cerco di dare ordine ai miei capelli selvaggi raccogliendoli con un mollettone da casalinga disperata, e inizio a incamminarmi sulla sabbia rovente. Un ultimo sguardo all’orizzonte, un ultimo commento in solitaria, un saluto al mio momento – al nostro momento, quello mio e dei miei neuroni- e vado a prendere il mio bebè (alto un metro e novanta) che non vede l’ora di fare un bagnetto.

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