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Qui e là a spasso per il mondo.

28

Apr 2014

Mingalabar Myanmar

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Sono stata in Myanmar  una settimana per un viaggio di lavoro e ho scoperto un mondo… Un mondo, per certi versi, completamente intatto, dalla spiritualità pulsante e magnetica che ti invita al raccoglimento. Tuttavia, ho visto e percepito anche una nazione che ha voglia di occidentalizzarsi, di costruire, di materializzare in lode al dio denaro, di sfruttare in modo arrivista le risorse della terra a partire dal gas naturale, del quale è ricchissima, fino ad arrivare alle pietre preziose: rubini, giada, diamanti, smeraldi .

Sono partita da Milano Malpensa con volo della Thai, un bel Airbus A340-500 a due piani. La Thai ti accoglie sui suoi aerei con hostess bellissime – come le orchidee che indossano – che ti salutano a mani giunte e ti invitano ad accomodarti sulla tua poltrona viola, gialla o fuxia. Ho volato per quasi 11 ore fino a Bangkok, dove mi attendeva la coincidenza per Yangoon (ex Rangoon, quando era colonia inglese). Solo un’oretta e mezza e dalla Thailandia si raggiunge la mistica Birmania.

A Yangoon vieni immediatamente a contatto con il sorriso contagioso della popolazione birmana. Uomini e donne indossano il longyi, una  sorta di gonna lunga che viene abbinata a camicie per gli uomini e magliette – con spalle rigorosamente coperte – per le donne. Le donne, e spesso anche i bambini, sono truccati con il tradizionale thanakha, una particolare crema colorata giallognola – ricavata dalla corteccia di murraya o albero di limone – che viene spalmata sul viso (specialmente sulle guance) per rinfrescare, proteggere dal sole, profumare e decorare il viso, a mo’ di make up. Per strada non è una stranezza incontrare nonnine e non masticare foglie di betel  farcite con una mistura di tabacco, calce tritata, noce di areca. I consumatori di betel, che paia dia dipendenza un po’ come le sigarette, passano le giornate a ‘ruminare’ e,  con la bocca piena di succo rosso sangue prodotto dalla noce di areca, amorevolmente sputacchiano per terra, tanto da imbrattare i marciapiedi.

Il primo giorno  del  tour  ho avuto modo di visitare la Chakhtatgyi Paya, e sono stata  immediatatamente catapultata nella trascendente atmosfera di stupa, pagode e templi buddhisti. Lasciate scarpe e calze all’ingresso, sono entrata in questo tempio per ammirare e venerare uno dei più bei buddha dormienti birmani. Una statua di 70 metri, colossale, tutta rivestita di foglie d’oro e sormontata da pietre preziose.

Chakhtatgyi-Paya Il caldo era soffocante, quasi 42 gradi , con un tasso di umidità che ti permetteva di autostrizzarti e annaffiare i campi secchi della Sardegna nel mese di agosto. Davvero, un caldo impossibile e pensare che ero partita da Perugia con soli 8 gradi!

Sempre il primo giorno ho fatto tappa  alla maestosa Shwedagon Pagoda, la pagoda rivestita d’oro, la più famosa e frequentata del “Paese d’oro”, che conserva un’importantissima reliquia buddhista: 8 capelli di Gautama, Siddhārtha, IL Buddha. La pagoda è una meraviglia di nicchie  e statue di buddha dorate: puoi osservare monaci recitare mantra mentre tra le dita scorrono i grani della mala, fedeli pregare o fare offerte, puoi assistere alla coreografica pulizia del pavimento del luogo di culto, vedere monache dalla testa rasata che indossano la loro tunica rosa, puoi ritrovarti nel bel mezzo di una  cerimonia di iniziazione o mischiarti agli altri  turisti, incuriositi ed estasiati come te che contemplano lo splendore dello stupa d’oro alto 98 metri che, sulla cima, ha le caratteristiche campanelle che risuonano al soffiar del vento.

Il secondo giorno sono partita con volo domestico per Bagan, la cittadina che Marco Polo descrisse come “uno dei luoghi più belli del mondo”, disseminata da quasi 4.000 sacri stupa e caratterizzata da una agreste vita di campagna che ti fa fare un tuffo nel passato, quello più remoto.   A Bagan ho visitato templi, fatto una romantica passeggiata in calesse attraverso il villaggio dei contadini, partecipato a una emozionante cerimonia di donazione con i monaci di un tempio, contrastato con il sorriso orde di persone in motorino – almeno 3 su ognuno! – che inseguivano i nostri pullman e a ogni tappa provavano a venderci quadri, vestiti, rosari, statuine, lacche o  cercavano di recuperare qualche prodotto di bellezza. Tra i più richiesti: rossetto e mascara.

E poi i bimbi… che occhi pieni di calore! Bastava donare loro una penna o una caramella e il loro sguardo si illuminava di stupore e felicità. Le case contadine sorgono all’interno di un parco archeologico di inestimabile valore e ospitano enormi vacche, animale domestico e prezioso alleato nel lavoro dei campi. Stupa, campi coltivati, vallate di semplice misticità elevano l’anima e riempiono il cuore. Un paesaggio colorato di terra, cielo e alberi.

Bagan è uno di quei luoghi che ti rende fiero di appartenere alla razza umana” (Tiziano Terzani)

Colorati dalle mille sfumature dei raggi del sole calante, i templi affollano la pianura susseguendosi a perdita d’occhio in un’atmosfera quasi surreale.

Durante il tour ho anche attraversato, per un breve tratto, il fiume Ayeyarwaddy – il  ‘fiume madre’ –  che nasce dall’Himalaya e attraversa il Myanmar da nord a sud prima di gettarsi nell’Oceano Indiano. La barca solcava lenta la placida e fiera distesa di acqua che conduce alla scoperta degli angoli  più segreti di questo luogo, quello che fluisce tra miniere di zaffiri e rubini, piantagioni e foreste di tek.

Sempre a Bagan non è mancata la visita al superbo tempio di Ananda con i suoi buddha tutti da ammirare.

buddha-tempio-Ananda

Gli ultimi tre giorni di tour del Myanmar mi sono spostata a Ngapali Beach, nell’area del Rakhine. Sono arrivata a Thandwe (Sandoway, quando era una colonia britannica) con volo di linea.

La città è sotto coprifuoco e, dalle 6 pm alle 6 am, non ci si può inoltrare per il villaggio a causa degli scontri tra buddhisti e musulmani. Ngapali è davvero il contrasto. Noi eravamo in un resort da mille e una notte, bellissimo e ricco di dettagli pregiati, sapientemente creati dalle mani esperte di qualche artigiano locale e, solo a  pochi metri di spiaggia più in là, sorgeva il villaggio dei pescatori, edificato con  qualche canna di bambù e un po’ di paglia. Niente pavimenti, niente porte o finestre. Niente di niente. La fogna a cielo aperto e la gente, nonostante tutto, con il sorriso stampato in  faccia (anche se mi hanno raccontato che le donne spesso subiscono le angherie di uomini in preda, sempre più frequentemente, agli effluvi dell’alcol). Imperdibile lo spettacolo cromatico delle azzurre reti da pesca che si fondono con l’argento dei pesci catturati alle primissime luci dell’alba.

Il Myanmar è un angolo di Asia tormentato dalle vicissitudini politiche e dalla dittatura militare che, diversamente dagli altri luoghi dell’Indocina, si fa scoprire poco per volta, regalandoti emozioni indelebili e calde. Una terra ricca di contraddizioni, povera e ricca allo stesso tempo, spirituale e materiale. E’ birmana “La Signora” [come la chiamano in Myanmar] Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace del 1991.

Un paese che affascina e offre l’opportunità di immergersi completamente nell’essenza della cultura e della filosofia buddhista Theravāda. All’interno di ogni pagoda vieni avvolto da un velo di magica trascendenza. Qui monaci e fedeli si incontrano per pregare, fare offerte all’Illuminato e agli spiriti. Ogni tempio è luogo per ricevere ricovero, incontrarsi, meditare, ritrovare se stessi.

La Birmania raccoglie un patrimonio prezioso come le sue pietre e  un’anima luminosa come la strada attraversata da Siddhārtha.

Un luogo che cambierà qualcosa dentro di te e che, in cambio, ti darà molto.

Mingalabar (letteralmente “Che la fortuna sia con te!”) ilsocheride-a-BaganCuriosità

A nord di Mandalay c’è la capitale dei rubini Mogok, dove si trova uno dei più grandi giacimenti del mondo (insieme a quello di Minas Gerais in Brasile). Si narra che i re di Mandalay avessero tenuto talmente nascosta questa valle che, all’arrivo degli inglesi nel 1884, gli stessi birmani non ne conoscevano l’esistenza. I rubini più belli, tutti,  provengono da Mogok, in particolare il preziosissimo e raro ‘sangue di piccione’, noto per la sua particolare tonalità rosso intenso. Si dice che per verificare l’autenticità della gemma, si debba portare la pietra sulla guancia e se questa diventa tiepida a contatto con la pelle, allora il rubino è vero.

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