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20

Gen 2013

La geisha non è una bageisha

scritto da / in SENZA FILTRO / Commenta

La figura dell’intrattenitrice giapponese, bella e preparata, scivola spesso, nell’accezione comune, nel ruolo di mignotta compiacente e mantenuta,  quella che per intenderci chiamerò bageisha.

Ho letto con interesse, molti anni fa, il bellissimo romanzo di Arthur Golden “Memorie di una geisha” che ha ispirato la pluripremiata – e meno intrigante- versione  cinematografica  prodotta da Spielberg.

Cito da Wikipedia:

“Geisha”, pronunciato /ˈɡeːʃa/, è un termine giapponese (come tutti i nomi di questa lingua, non presenta distinzioni tra la forma singolare e quella plurale) composto da due kanji, 芸 (gei) che significano “arte” e 者 (sha) che vuol dire “persona”; la traduzione letterale, quindi, del termine geisha in italiano potrebbe essere “artista”, o “persona d’arte”.

Un altro termine usato in Giappone per indicare le geisha è geiko (芸妓?), tipico del dialetto di Kyōto. Inoltre la parola “geiko” è utilizzata nella regione del Kansai per distinguere le geisha di antica tradizione dalle onsen geisha (le “geisha delle terme”, assimilate dai giapponesi alle prostitute perché si esibiscono in alberghi o comunque di fronte ad un vasto pubblico).

L’apprendista geisha è chiamata maiko (舞妓?); la parola è composta anche in questo caso da due kanji, 舞 (mai), che significano “danzante”, e 子 o 妓 (ko), col significato di “fanciulla”. È la maiko che, con le sue complicate pettinature, il trucco elaborato e gli sgargianti kimono, è diventata, più che la geisha vera e propria, lo stereotipo che in occidente si ha di queste donne. Nel distretto di Kyoto il significato della parola “maiko” viene spesso allargata ad indicare le geisha in generale.

Tutte le volte che sento associare il termine ‘geisha’ con una ‘bageisha’ mi viene da pensare.

Rifletto sulla sempre maggiore superficialità d’interpratazione e sulla mancanza di oggettiva consapevolezza di quello che si afferma o si suppone di sapere, conoscere.

Ritrovo, ancora una volta, l’ uniformarsi del pensiero nella demagogica accezione comune, l’ottusità che mette i neuroni in circolo in un girotondo di convizioni create per sentito dire.

Il fatto è che prima di affermare con convizione qualcosa o di sbandierare ai quattro venti una informazione, dovrebbe – e uso il condizionale per favorire il libero arbitrio- scattare un minimo, e dico minimo, senso critico nelle persone che fa dire: ” Alt, adesso mi informo prima di  spargere informazioni che non siano avvalorate da fonti o dati concreti, oggettivi“.

Il caso geisha-bageisha è solo un pretesto per un ragionamento più ampio.

Ampio nel senso che a raggiera abbraccia tutto l’universo della rete e nella socialità di alcuni media che mettono in scena un tam-tam surreale di cazzate.

Mi è capitato fin troppe volte di veder condivise bufale di grosso effetto su Facebook, e pesci palla creduloni e pigri condividere senza fare il seppur minimo sforzo per verificare la cosa che stavano riportando sotto il proprio profilo Mario – pesce che abbocca- Rossi.

Notizie mica banali, sia inteso.

Ma porca di quella vacca, vorrai verificare prima di pigiare quel  pulsante ‘condividi’ o  fare copia e incolla nel tuo status?!

Però c’è un però. Che cosa ha da sempre alimentato credenze superstiziose, falsi idoli e mosso le persone le une contro le altre in nome di verità presunte e supposte? Una brutta bestia: l’ignoranza.

Siamo in un momento storico che offre un po’ a tutti strumenti e mezzi per accedere con facilità alle informazioni, declinate e raccontate secondo diversi punti di vista. Non abbiamo scuse, se non la pigrizia che ci spinge più facilmente a cliccare un ‘like’, anzichè approfondire e colmare le nostre lacune (o ‘lagune’, come spesso sento dire) 🙂

Giudizio critico. Bisogna costruire un proprio-  medesimo- personale- ma davvero tuo giudizio critico.

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