Quando le dita improvvisano sulla tastiera

Quanta ovvietà in post che emulano un pensiero stereotipato e approssimativo. Non c’è stratificazione intellettuale, scarseggia l’umiltà che gioca con l’ironia, manca l’audacia di non dover ricevere applausi e di essere davvero quello che si propaganda per popolare sentito dire.

Fateci caso, il plebiscito si nutre di risposte preconfezionate, di nemici comuni, di frasi generalizzate che inducono alla conferma:

• “Quando siamo stanchi abbiamo bisogno di riposare…”
• “Tutti sanno che…”
• “È un classico/ è tipico che…”
• “È successo a tutti che…”
• “Se non ti è successo, allora non sei/appartieni a…”

Dietro a tutto questo non c’è spontaneità, ma un ordine implicito al conformismo che fa scampare dalla berlina, l’angolo in cui vengono messi quelli che non aderiscono al pensiero unanime politicamente corretto, il cassetto mentale nel quale vengono inseriti quelli che non si è riusciti a etichettare se non con un – ça va sans dire, fumoso e indeterminato – “strano” o “diverso”.

Il timore di essere derisi inibisce, fosse solo la condivisione di un semplice post, e apre a mille interrogativi: “Cosa penseranno gli altri?”, “Piacerà?”, “Riuscirò ad avere successo?”.

Se la risposta rimane marcata dal punto interrogativo o da una smorfia di insicurezza, ecco allora che si asseconda l’appiattimento intellettuale e creativo, uniformando i contenuti con quelli che le statistiche – perché, se lo dicono anche i numeri, vale di più – approveranno con un bel pollicione verso l’alto.

Visto che le domande innescano il pensiero, mi/vi chiedo allora: se le creazioni sono sempre più razionali, quanto è spontanea la creatività?