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Gen 2021Il rumore del niente
scritto da jadosa / in SENZA FILTRO / Commenta
Non ci siamo. No, non ci siamo.
Non bastano i buoni propositi, le letture edificanti, i sorrisi forzati, le meditazioni.
Non va.
Non va proprio.
E non è solo colpa del dolore che si sta cronicizzando. Quello fisico, intendo.
Il problema è che si sta cronicizzando quello psicologico.
Mi sento demotivata, senza una reale prospettiva.
Non sopporto più questa relazione fatta di silenzi, di elemosine di attenzione, di richieste di presenza.
Sono stanca di dover assecondare. Non ce la faccio più.
Il peso è troppo. La mia schiena urla.
Questo periodo, poi, non ti permette nemmeno di pianificare una fuga per trovare nuova aria, avere un’alternativa, almeno in prospettiva.
Bisogna stare (nel) qui e ora.
Ma io, qui e ora, sto per esplodere.
Non di rabbia. É un misto di tempo sprecato, sogni trattenuti e vita non vissuta.
Perché questo non è equilibrio e nemmeno equilibrismo.
É un tentennare, è un provare a stare dritti, mentre un arietta stronza e dispettosa ti dà il tormento in attesa di tempi migliori.
“Fai la brava. Non comportarti così. Sii rispettosa.”
Sempre prima gli altri. Sempre prima le apparenze. Sempre prima il DOVERE.
La scelta, Giada, la scelta. E che cazzo, lo so che posso scegliere tra dovere e scelta.
Ma DEVO essere in un certo modo, sennò come assecondo le aspettative del microcosmo?
Sempre prima il dover dimostrare a qualcuno un qualcosa di cui, sostanzialmente, non gli può fregare di meno. A meno che non gli si tocchi i suoi egotici interessi.
Ma che senso ha?
Sto vivendo davvero la vita che voglio? Ma no, proprio NO.
Non la voglio più questa pseudo regolarità. Non la sopporto più.
E poi questo vuoto.
Questo vuoto assordante mi dà sui nervi!
Non è un silenzio.
É un cazzo di vuoto che non sa di pace, non sa di calma, non sa di tranquillità.
Non suona.
Fa rumore.
Assorda.
Ti allontana. Ti fa impazzire.
Stride come un puntale che scalfisce il vetro di una vita che si rispecchia in quei pezzi infranti, che calpesti sulla strada che stai percorrendo a piedi nudi.
Brucia e lascia il segno.
Io amo il silenzio. Quello sì. Amo il silenzio che spegne il fuoco, quello liquido,ovattato.
Ma non amo il nulla. O meglio, detesto questo fottuto nulla sottointeso e muto.
Questa mancanza di progettualità, questo NON perenne, questo non dover [qualcosa] per non dover ferire, questo dover ingoiare per non far percepire.
Questo mostrare un volto che non ha voglia di apparire, attraverso una voce acutamente farsata.
Ho bisogno di spazio in tutta questo dukkha, che non è solo sofferenza è anche e, soprattutto quello, mancanza di spazio, costipazione, incapacità di far circolare il prana, quell’energia vitale che ho dentro e che è incazzata come una bestia feroce, ferita e offesa da sè e dal mondo.
Perché anche se ci provi, non puoi mettere in un angolo la tua volontà. Non puoi soffocarla così tanto. Non puoi silenziare il grido che è dentro di te che ha voglia di arrivare alle orecchie di chi fa finta di sentire ma non ascolta.
Perché se lo fai, o si incazza – la volontà, dico – o si perde nel vuoto limbico, fatto di depresssione, di abulia, di incapacità di reagire.
Ma qualcosa, comunque, fa.
Un barlume, microbico e incazzato, è ancora qui dentro di me e mi spinge a lottare. Lo vedo tremare come una fiammella instabile ma, nonostante tutto, ha ancora voglia di credere.
É faticoso, cazzo, governare e controllare questo fuoco per un bene che ha perso potenza ed è alimentato da abitudine e passività.
Silenzio e vacuità. Il nulla e il suo tutto.
Il rumore del niente.