Pensieri, senza filtro.

Quando le dita improvvisano sulla tastiera

22

Feb 2014

La scintilla dietro la maschera

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Ho capito tante cose. Ho capito che cosa voglio. Ci ho messo un pochino, quei 35 anni giù per sù.
Ho capito che mi sono stancata delle teorie, della razionalità, dell’infallibile precisione nel prendere e nel dare. Mi sono stancata di non sentirmi veramente inclusa, compresa, accettata.
Ho capito che la mia vita non posso metterla nelle mani di un altro, ho capito che i miei sogni non possono essere sempre schiacciati dal compromesso, quello che agisce in nome di qualcosa di grande, che poi lo è solo in teoria.

Voglio vedere i fatti, voglio concretezza, voglio che i miei sacrifici si plasmino, acquisendo forma e sostanza.
Voglio toccare. Non mi basta più sentire.
Parole che fluttuano nel vento, sospese nel limbo del ‘prima o poi’.
La vita che ho è una – reincarnazioni ed eternità spirituale a parte.
La vita che ho – qui e ora- è una, ed è la sola che ho.
Non devo sprecarla. Non devo perdere nemmeno un istante.
In ognuno di noi c’è una fiamma di divinità che può e deve emergere; in me ci sono troppi desideri sopiti che adesso battono sull’anima e la lacerano.
Non posso più ignorarli.
La voce interiore non bisbiglia più. Grida soffocata, delusa, in costante attesa che sia qualcuno, dall’esterno, a realizzare la mia felicità.
Palle, cazzate, menzogne, belle e buone.
Nessuno, e dico NESSUNO, può arrogarsi il diritto di muovere i fili del nostro libero arbitrio. È nostro, solo nostro.
Siamo noi che dobbiamo agire per il nostro bene, al di là di tutto.
Dobbiamo essere consapevoli e responsabili delle nostre scelte, dobbiamo imparare a mandare a quel paese tutta quella massa di saccenti del cazzo che continuano a giudicare – ben distanti- ogni singola mossa, senza mai, e dico nemmeno per un secondo, entrare nei nostri panni.
I consigli, sia ben inteso, sono sacrosanti. Non mi lamento di questo. Ci sta che una persona cerchi di aiutarti, di farti vedere le angolature nascoste delle cose. Quello che non sopporto è il giudice a priori. Quello che si mette sul piedistallo solo perché ha qualche anno più di te e, poi, magari, se vai a vedere la sua vita, tu, come la sua, non la vorresti mai. E allora chi cazzo sei per dirmi cosa devo fare? Chi sei tu per permetterti di farmi i conti in tasca? Chi sei tu che non conosci nemmeno un’ora della mia vita? Non sai quello che ho passato e come lo ho passato, non sai cosa desidero, non sai niente di niente, perché vedi solo la superficie con il paraocchi dei tuoi pregiudizi.
Non mi va più di mediare. Non sono più disposta ad accettare a priori con il sorriso, solo per paura di perdere la stima o il saluto di qualcuno. La mia accettazione deve essere piena, solo mia, coerentemente consapevole. Sennò, pazienza. Non ti vado a genio? Me ne farò una ragione. Non è detto che sia sempre tu ad avere ragione.
Posso migliorarmi, fare auto analisi, ascoltare le critiche per aggiustare il tiro ma non voglio più snaturarmi. Non voglio più indossare maschere che prima o poi, fosse anche dietro al sipario, fuori dal palco della vita, devo necessariamente togliere per guardarmi allo specchio.
E quando mi rifletterò, voglio vedere quella scintilla, quel barlume di divinità che anche io, come tutti, ho dentro di me.

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